Ma io, chi sono?

Per un bambino nato in Italia da genitori stranieri, definire la propria identità è un processo arduo e tortuoso, richiedente moltissimi anni di riflessione. Amici, insegnanti e collaboratori italiani fuori, stimoli di un’altra cultura dentro. Non sai cosa fare, se nasconderti o se camminare con la testa alta: i pregiudizi hanno la capacità di distruggerti, in particolare nell’età più tenera. Hai paura di essere guardato male, insultato o discriminato - in altre parole, trattato per qualcosa che neanche tu sai se lo sei veramente. Perché, alla fine, arriva sempre quella insulsa ma fastidiosa domanda, volendo persino fatale: “Ma tu, di che nazionalità sei?”. Non lo so neanche io di che nazionalità sono. Non lo so, ti dico. Le mie radici appartengono a un altro paese, e i miei genitori mi hanno educato seguendo quelle tradizioni e quella ideologia. Ma sono nato in Italia, e ci ho sempre vissuto. Però non ho la cittadinanza. Perché? Perché in questo paese non esiste il diritto di suolo. Perché questo paese, anche se hai sempre vissuto all’interno dei suoi confini, non ti riconosce come suo cittadino. E quindi cosa sono? È questa la domanda a cui il fotoracconto cerca di dare una risposta, nella speranza che il progetto possa diventare anche una guida per tutte quelle persone che, intimorite dalla società, hanno paura di abbracciare il proprio retroterra. Non mi rivolgo tuttavia solo a questa ristretta categoria di persone, bensì all’intero pubblico. Le tradizioni sono un elemento da invidiare, non da criticare. I pregiudizi non fanno altro che sbattere le porte in faccia agli estranei, o “immigrati” utilizzando termini più forti, quando non sempre queste stesse persone hanno scelto di provenire dal luogo da cui vengono. Si parla tanto di patria, patriottismo e orgoglio della nazione, ma alla fine perché si fa parte di una nazione? La maggior parte delle volte, solo per nascita, talvolta neanche per condivisione di una stessa ideologia. E allora diventa inutile iniziare a criticare gli estranei, poiché, alla fine, sono solo le barriere politiche a dividerci. Per questo motivo ho chiesto aiuto al Gruppo Vatra di Torino, il più grande gruppo della diaspora promotore delle tradizioni rumene al di fuori della Romania, che mi ha accolto calorosamente all’interno della sua comunità, permettendomi così di inserirmi tra moltissime altre persone nella mia stessa situazione, ma che hanno già scelto la loro risposta alla domanda su cui si basa il fotoracconto.